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Viaggiare è lezione di vita: ecco cosa ho imparato

Last Updated on 3 anni by Michele Valente

Viaggiare è fare esperienze

Viaggiare consente di collezionare una vasta gamma di esperienze in grado di rivoluzionare gli orizzonti della nostra personale visione del mondo; sembra quasi una banalità, ma negli anni mi è capitato più volte di acconsentire con un’interessante citazione, che poi è diventata una delle mie preferite: <<Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.>>

Penso che Charles Baudelaire avesse ragione nell’affermare che il significato più recondito e fascinoso dell’esperienza on-the-road spesso sfugga alla razionalità, ma sia il motore primo di ogni forma di crescita e di avventura in giro per il mondo.

In questi anni ho cambiato tante città, ne ho ammirato i colori sgargianti nelle belle giornate estive, e sono rimasta commossa dalle sfumature giallognole che i lampioni imprimono agli skylines notturni; mi sono persa nei quartieri periferici di Budapest e mi sono emozionata di fronte ai resti dell’East Side Gallery.

Ho mangiato la torta sacher più buona di tutta Vienna e ho fatto il bagno nel Danubio con amici incontrati casualmente in ostello.

Eppure, ogni volta che penso al viaggio, una sola parola prende il sopravvento nella mia mente e mi fa ricordare quanto sia bello il profumo che emana la strada, con i cibi tipici e gli accenti serrati, l’inglese sgrammaticato e i ritardi dei treni: libertà.

Questa mia esperienza potrebbe essere di stimolo a fare come me, prendere lo smartphone aprire l’applicazione per i voli di Momondo prendere il primo aereo e cambiare vita.

 

Un’esperienza che porterò per sempre nel cuore

 

Viaggiare è lezione di vita: ecco cosa ho imparato a Lisbona

 

Era una fresca mattina estiva, e mi ero alzata per fare colazione con alcuni compagni di viaggio che avevano attraversato le lande portoghesi dall’Albufeira meridionale in direzione della Capitale, proprio come me.

Avevo deciso di trasferirmi definitivamente in uno Stato che avevo trovato sempre affascinante e ricco di sorprese, profondamente immerso in atmosfere nostalgiche e un po’ romantiche: il Portogallo, e in particolar modo la sua città più famosa ed una delle capitali europee più affascinanti, Lisbona.

Incontrai delle persone che avevano deciso di condividere con me un’avventura che mi eccitava e intimoriva allo stesso tempo: sulla lastricata Rua Da Gloria baciata dal timido sole che sorgeva al mattino, camminavo con una giovane insegnante madrelingua australiana, un ciclista scozzese con la sua ragazza di origini italiane e una studentessa brasiliana totalmente squattrinata dai capelli tinti e dall’aria perennemente truce.

 

Rua Da Gloria

 

Direzione? La stazione di Cais do Sodre a Lisbona, dove avremmo dapprima fatto rifornimento di panini e qualche bevanda zuccherata per affrontare il viaggio, e dove poi saremmo saliti tutti insieme per raggiungere Cascais, la prima tappa del nostro day-trip.

La sera prima avevamo deciso di brindare assieme alla mia futura vita da italiana all’estero e di sancire l’augurio con un’esperienza on-the-road che avrei ricordato per tutto il resto della mia vita. Annebbiati dall’alcool e dalla musica del Caribe che risuonava prepotentemente nel locale in cui eravamo casualmente capitati, decidemmo che il giorno seguente avremmo raggiunto il punto più occidentale di tutta l’Europa: Cabo da Roca.

E la mattina dopo ero lì, sotto il sole che scottava sempre di più sulle nostre teste: ero a Cais do Sodre con quattro sconosciuti di varia nazionalità che avevo avuto la fortuna (o la sfortuna, al momento ero ancora incerta di cosa si trattasse) di incontrare per chissà quale motivo proprio sul mio autobus notturno quale giorno prima.

 

Cabo da Roca.

 

Cascais era bella, luminosa e non così diversa dalla mia piccola città natale in Italia. Mi sentii subito a casa e straordinariamente di buon umore. Devo correggermi: non era solo contenta di esser lì, ero felice.

Quel picco di adrenalina, eccitazione e vitalità che coglie impreparato qualsiasi uomo o donna; quella sensazione tanto dirompente che fa riflettere sul fatto che in fondo la vita merita di essere scoperta in ogni sua sfaccettatura, anche se con due scozzesi, un’australiana e una studentessa dalle idee un po’ anarchiche e adolescenziali.

La mia esperienza lusitana era cominciata con la ferma convinzione che nessun posto mi avrebbe fatto sentire a casa, che nessun viaggio avrebbe mai potuto riempirmi di leggerezza e spontaneità come la comfort-zone che ero solita vivere nel mio Paese.

Eppure quel giorno imparai che le cose vanno diversamente, che la realtà è sempre in grado di rivoluzionare le nostre convinzioni: il mio viaggio su una graziella a Cabo Da Roca per ammirare l’Oceano fu un’esperienza alla “Una notte da leoni” in cui imparai quanto fosse squisitamente semplice aprirmi ai miei compagni di viaggio mentre – a bordo delle nostre biciclette comunali rosso scarlatto – attraversavamo una delle piste ciclabili più suggestive che abbia mai avuto la fortuna di vedere.

La costa sabbiosa e ventosa da un lato lambiva il colore blu elettrico dell’acqua, mentre la terra bruciata dal sole lasciava intravedere in lontananza il colle su cui saremmo saliti. Si, noleggiammo delle biciclette e ci lanciammo all’avventura in maniera del tutto folle e sconclusionata con la sola voglia di vivere l’avventura con la “L” maiuscola, così come mi era stato promesso la notte prima.

Pedalammo tutto il giorno come forsennati accanto a ciclo-viaggiatori di ogni nazionalità e di ogni esperienza, mangiammo con una squadra di atleti paraplegici e salutammo migliaia di sconosciuti che ci sorridevano e ci incitavano all’impresa. Eppure, Cabo da Roca apparve bellissima ai nostri occhi, con la sua natura spontanea e violenta, ventosa e allo stesso tempo armoniosa.

Scattammo qualche foto, visitammo il faro da bravi turisti e decidemmo di tornare indietro a Lisbona, <<ché faceva freddo e dovevamo ancora lasciare i nostri mezzi di trasporto a Cascais.>>

Quando parlo di quest’esperienza mi commuovo come una bambina. Non si tratta tanto dell’avventura in sè, del panorama o del buon cibo. Quel giorno ho imparato quanto la vita sia in grado di rivoluzionare i nostri pregiudizi e le nostre aspettative, di quanto le persone che riteniamo spesso lontane a noi siano invece disposte ad imbarcarsi in un viaggio pazzo e dissennato per il solo gusto di condividere qualcosa, di lasciare qualcosa nella tua vita.

Perché amo viaggiare? Uscire dalla mia comfort-zone mi ricorda ogni tanto che la felicità – l’autentica vitalità che provoca brividi lungo la schiena – è un obiettivo raggiungibile. L’importante è partire, anche senza un motivo, come scriveva Baudelaire.

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